Vilienza e parola, a susta a Cusenza non è soltanto fisica

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Mi sono spesso inderrogato su quali siano le cifre stilistiche e morali della cosenddinità.

Viviamo tembi di ingertezze identitarie e annu certu qual modo unu tena sembbre bbisuagnu i sapì chin’è e picchì.

La risposta è stata quando mai immediata: u cosenddino è bbiliente. La sua raggione di esistere e quello per cui si connota e si distincue è la VILIENZIA.

U cosenddino si sicca, si ‘nsusta, si rumba ra staccia.
Se può delega, se non può rimanda.
Al massimo truculìa.
Oggi, tuttavia, non ci soffermeremo sui massimi sistemi, ma ci occuperemo di una particolare modalità di pigrizzia: quella nel parlare.

Vispo e scattante

Elisione – Perché anghe nelle espressioni più idiomatiche e quotidiane il bruzzio docc u canusci subbito: u cusenddino abbrevia, accurcia, sembbrifica, spesso ai limiti dell’onomatopeico.
Fedele alla filosofia dell’assenza, l’essenza di Cusenza è l’ELISIONE, con cui spesso si elude, avvolte si allude ma quasi mai si delude.
Se una parola è troppu longa s’accurcia, se solo ce n’è il modo e l’occasione si allittera, se poco poco ti distrai i dua o tri parole sinni fa una.

Il nome del vostro umile scribba ne è una preclara evidenza: ‘Vicchitipì” su quattro parole in una, più altre due sottindese. ‘Vedi cosa ti prendi” (sottotesto: al bar).

Vida chi ti pigli

Weltanschauung – Perché un’altra caratteristica indrinnseca a sudd di Castrouìllari è la cortesia, la goliardica propensione alla convivialità, il piacere godereccio certamende incoraggiato e sollecitato dalla cronica mangganza di fatiga e di gulìa (la vilienzia ritorna, come ben si vede).

La sembbrificazzione è la riconosciuta weltanschauung (teh! strazza!) del popolo rossobblù.

Mecchinicè, per rimanere in orbbita Spigaweb, non è altro che “Toh! Guarda chi abbiamo qui!”, cui ogni vero monitore farà mendalmende seguire “I quandu tì”, laddove il ‘tì’ sta per tempo, nella frenesia riassundiva che ci contraddistingue.

Pensiamo a chir’atra scienzziata ca scriva ccà supra: Micci Abbaca, espressione idiomatica quando mai combbressa e compressa che vuol pressapoco dire: “Ma chi me la fa fare? Chi mi ci chiama a fare quel che faccio, ma, in ultima analisi, a essere quel che sono?”.

Capite bene che in due o addirittura una parola (nel parlato il micci si lega inscindibbilmende e senza pause all’abbaca) esprimiamo la dialettica millenaria fra essere e non essere, fra l’an e il quomodo, l’hic e il nunc, u russu e u bblù della vita (che in riva al Crati prendono il posto dello Yin e dello Yang).

Musica e muggito – Ma le vette del subblime le raggiungiamo quando la sinndesi, la crasi esistenzziale sfora nel poetico, si fa musica e muggìto, come nella più bbella e crassica delle espressioni di saluto:”Cum’è? ‘Ttappò?”, laddove in 10 sublimi lettere, due apostrofi e due accendi si compendia tutta la cura, l’attenzione e la premura del cosenddino tipico, il quale si sta informando di come stai tu, la tua famiglia e tutta a razza tua, su quello che hai fatto in tutto il fratello tembbo che non vi siete visti, fosse anche il giorno prima, e ti sta chiedendo se salute, lavoro e legami senddimenddali e sociali dell’inddèro tuo vissuto stanno procedendo regolarmende.

Hegel – Filosofia dell’assenza, dell’essenza, della elisione, appundo, apice insuperato di apocopi e asintoti riassunti, forme verbali e non verbali altamende metaforiche e sapientemende sinottiche.

Se Hegel fosse nato in riva al Crati la sua fenomenologia dello spirito l’avissa compenddiata in quattro frasi quattro: “Si tu si tu e iu signu iu chin’è ru fissa? Tu o io?”.
Perché tutto quello che non può essere riassundo, accennato, mimato o espresso con una nascata non vale la pena di essere detto (e mancu pensato).

A vita è na scisa, Sambbrangì. Il cielo stellato sopra di me e u riganu bbuanu dendro ara tiè(ddra!).


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