Anno 2015: le 5 giornate i Portachiana!

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portachian152Quando l’ultimo baluardo crollò, i cittadini di Cosenza dovettero ritirarsi nella parte vecchia, la più arroccata, quella dalla quale secoli fa passò Federico II lasciandoci in eredità un castello e, soprattutto, na fera.
Il ponte di Mancini si schiantò dopo essere stato colpito dalle bombe reggine. Scopelliti entrò in una città grigia, senza vita. Giusto qualche cane latrava triste, quasi come se avesse percezione di quello che stava accadendo.
Il 2015 fu l’annus horribilis di Cosenza. Qualcuno aveva fatto per l’ennesima volta quella domanda: è possibile avere i nomi?. Voleva solo sapere chi fossero i protagonisti i consiglieri calabresidei rimborsi folli  e, soprattutto, se qualcuno aveva, almeno, vinto al Gratta e Vinci.
La reiterata sete di verità, produsse la collera sproporzionata del governatore dalla testa grossa (testa che non si abbinava al resto del corpo, producendo l’effetto Frankstein).
Nel giro di pochi giri di fax e circolari, dichiarò guerra a Cosenza e partì alla volta della città di Telesio armato di tutto punto.
Colta alla sprovvista, la città (che stava preparando una fiera della scritta aerea) accusò il colpo e stava quasi capitolando quando qualcuno (non appartente all’amministrazione comunale) si prodigò per organizzare un minimo di Resistenza.
I più idealisti, gente che sapeva citarti le formazioni del Cosenza mentre lanciava una granata (“Ecco là il cecchino!”, “Lanciagli una granata!”, “Subito! Ciaramitaro, Fucina, Longobucco, Aita, Rizzo, Silipo, Tripepi…”), scelsero il centro commerciale “I due fiumi” come roccaforte, vista la vicinanza non solo emotiva con Le Aquile di Piazza Kenedy (o, a seconda, di Baccelli).
LA PRESA DEI DUE FIUMI – Scopelliti, per prima cosa prese il Comune (la maggioranza era sua alleata). E studiò il da farsi con il suo luogotenente Orsomarso.
“Orsmà, ci ni vu bene ara Calabria?”
“Secondo te?”
“E ci ni vu bene a Cosenza?”
Orsomarso, guardando il fumo nero che usciva da palazzi sventrati e dalle statue cadute rispose ancora: “Secondo te?”
Soddisfatto, Scopelliti convocò Occhiuto: “Noi siamo alleati. Ordina ai cosentini nel centro commerciale di arrendersi subito o ti taglio i cerchi come i posti letto dell’Annunziata!”
Occhiuto cercò di mediare con i partigiani, ma ottenne un secco: “Mai! Cosenza è libera. E libera resterà!” (seguito da spari in aria assortiti).
Scopelliti non si scompose, e prese in poche ore il centro commerciale intervenendo dall’alto. Sganciò due bombe alla Nduja dall’elisoccorso.
Ai giovani ribelli bastò guardarsi negli occhi per convenire che bisognava arroccarsi tutti a Cosenza Vecchia.
A gruppetti da cinque, riuscirono a raggiungere la zona sotto il castello.
E da lì organizzarono la riscossa.

L’AFFLATO DEL POPOLO – Le armate di Scopelliti cercarono in tutti i modi di espugnare Portachiana, ma il quartiere rispondeva compatto colpo su colpo.
Avevano eretto delle barricate con mezzi di fortuna, grazie alla solidarietà degli abitanti del quartiere. Ognuno portò qualcosa: chi un materasso, chi il portone di casa, chi un armadio, chi un pezzo della statua ex Spirito Santo.
Il centro di comando era stato approntato nel bar di Zolfino dove, tra un aperitivo e un altro, si studiava il da farsi, come controbattere all’offensiva del nemico.
Furono 5 giornate memorabili, chiamate in seguito dagli storici “le 5 giornate di Portachiana”.
Quando Scopelliti il quinto giorno morì grazie all’intuizione di Micuzzu d’u vasciu che gli lanciò una bomba ara sazizza e vruaccul’i rapa, l’esercito reggino di sciolse e tutti scesero nelle strade timidamente a festeggiare.
LA FINE DELL’INCUBO – Si ballò per quaranta giorni e quaranta notti (fino a quando, in pratica, i jinocchia un si sentianu cchiù). Poi, quando scese dal cielo la colomba della pace tutti ritornarono alle proprie case, stanchi ma contenti.
Dopo qualche tempo, i più dimenticarono l’accaduto e in un’atmosfera di revisionismo, cominciarono a riaccendersi, in cielo, i cerchi.
Tutto era ritornato alla normalità.
Dei giornali calabresi, l’unico che documentò l’accaduto fu il Corriere della Calabria. Gli altri, lentamente, ripresero a pubblicare i comunicati stampa del Comune.
Nessuno (e nemmeno noi, a dire il vero) ricordò i nomi degli eroi di Portachiana.
EPILOGO – Poco tempo dopo, un impiegato della tesoreria di Palazzo Campanella a Reggio Calabria, si vide recapitare una richiesta di rimborso tra cui comparivano: Due carrarmati, sei cingolati leggeri, una bomba alla Nduja, la benzina dell’elisoccorso e un gratta e vinci.

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Fondatore di Spigaweb e ottimo mangiatore di purpette, ama tutto quello che è meridionale. Il suo motto è «il Web è cumu u puarcu, un si jetta nente».


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